A CAPO NORD
Dopo giorni di viaggio ora sono qui, nel chiarore polare della mezzanotte e mi sembra di stare seduta sulla cima del mondo, ai confini di ogni cosa.
Il caos del mondo è lontano, non ne sento neppure l’eco e appaiono assurdamente inutili i conflitti che lo dominano.
Il vento spazza via i pensieri e il mare li raccoglie. L’idea stessa di tempo si fa vaga, diventa inopportuna.
Tra vento e mare, la figura in bronzo di una madre con il figlio accanto cattura lo sguardo e lo spinge all’orizzonte, verso l’infinito.
Non vorrei più andar via.
Mi avvicino al bordo della scogliera e guardo in basso: laggiù la forza del mare sferza incessantemente la roccia che resiste, indomita.
All’improvviso avanza un esercito di nuvole buie, la luce declinata in una tavolozza di azzurri si spegne e simultaneamente una raffica di saette ferisce il cielo, irrompe sul mare.
Mi attraversa un’emozione profonda, la suggestione di reminiscenze primordiali, come avessi dinnanzi l’inizio della Creazione. Una visione di grande potenza, troppo presto interrotta da scrosci di pioggia.
Poi tutto si placa e altrettanto improvvisa scende la nebbia: sospinta dal vento corre veloce verso il precipizio, come l’epilogo di un rito.
Il mare severo e la scogliera scompaiono.
Sono rapita dal repentino susseguirsi degli elementi.
Ne faccio parte.
Così che mi coglie impreparata la rivincita della luce, mentre nella notte polare l’orizzonte del mare si tinge di rosa.
(Dedicato a coloro che mi hanno accompagnato in questo viaggio.)